Il CBD come potenziale agente preventivo contro SARS-CoV-2

Il CBD e il suo metabolita 7-OH-CBD, ma non il THC o altri cannabinoidi congeneri testati, possono bloccare potentemente la replicazione di SARS-CoV-2 nelle cellule epiteliali polmonari, secondo lo studio corrente. "Il CBD inibisce la replicazione di SARS-CoV-2 in parte sovraregolando la risposta allo stress del reticolo endoplasmatico (ER) dell'RNasi IRE1α dell'ospite e le vie di segnalazione dell'interferone".

La sostanza agisce dopo l'ingresso virale, inibendo l'espressione genica virale e invertendo molti effetti di SARS-CoV-2 sulla trascrizione del gene ospite. A tal fine, lo studio presenta il CBD come potenziale agente preventivo per l'infezione da SARS-CoV-2 in fase iniziale e sottolinea che dovrebbero essere condotti studi clinici futuri per accertarlo.

La nicotina sembra avere lo stesso effetto protettivo

I fumatori rappresentavano solo l'1,3% dei casi di COVID-19 analizzati, mentre il tasso di fumo degli adulti in America è del 13,7%.

Allo stesso modo, numerosi studi hanno suggerito l'uso della nicotina come misura preventiva contro la contrazione del virus. Uno studio condotto in un grande ospedale universitario francese, ha stimato i tassi di fumatori attuali giornalieri tra i pazienti con infezione da COVID-19 e li ha confrontati con i tassi di fumatori attuali giornalieri all'interno della popolazione generale francese, dopo aver controllato i dati per sesso ed età.

I dati compilati avevano indicato che il tasso di fumatori giornalieri tra i pazienti COVID-19 era del 5,3%, mentre nella popolazione generale francese, il tasso di fumatori giornalieri era del 25,4%. Questi risultati hanno portato i ricercatori a concludere che i fumatori quotidiani hanno una probabilità significativamente più bassa di sviluppare un'infezione SARS-CoV-2 sintomatica o grave, rispetto alla popolazione generale.

Tra i pazienti ospedalizzati con COVID-19 si riscontrano sempre meno fumatori

Il famoso ricercatore antifumo, il dottor Konstantinos Farsalinos e due colleghi, avevano analizzato i dati provenienti dalla Cina, dove era ampiamente ipotizzato che i tassi di ospedalizzazione e mortalità più elevati tra gli uomini cinesi fossero dovuti alle differenze di genere nei tassi di fumo. Tuttavia, Farsalinos ha scoperto che c'erano significativamente meno fumatori tra i pazienti ricoverati in ospedale con COVID-19.

Inoltre, un'altra revisione dei dati cinesi pubblicati sull'European Journal of Internal Medicine ha concluso che "apparentemente il fumo attivo non sembra essere significativamente associato a un aumentato rischio di progressione verso una malattia grave in COVID-19".

Successivamente, modelli simili iniziarono ad emergere in tutto il mondo. I dati dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno mostrato che i fumatori rappresentavano solo l'1,3% dei casi di COVID-19 analizzati, mentre il tasso di fumo negli adulti in America è del 13,7%.

Fonte:https://www.vapingpost.com

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